lunedì 28 maggio 2012

Le procedure standardizzate per la valutazione dei rischi

PuntoSicuro intervista Cinzia Frascheri, responsabile nazionale della Cisl sui temi della salute e sicurezza sul lavoro e componente della Commissione Consultiva: caratteristiche, deroghe, problemi e storia delle procedure standardizzate approvate.

La Commissione consultiva permanente per la salute e sicurezza sul lavoro istituita presso il Ministero del Lavoro ha approvato il 16 maggio le procedure standardizzate per la valutazione dei rischi, ai sensi dell'art. 29, commi 5 e 6 del Decreto legislativo  81/2008.
Procedure, già citate nel decreto 626/1994 ma mai definite compiutamente, e che riguardano sia le aziende che occupano fino a 10 lavoratori, sia le aziende che ne occupano fino a 50, benché, come vedremo, in “modalità” differenti.
Questo importante e atteso documento non è ancora pubblico e per poter dare indicazioni sui contenuti, sull’evoluzione del documento, sui motivi che hanno portato alla proroga al 31 dicembre 2012 per l’autocertificazione per le aziende fino a 10 lavoratori, parliamo con la D.ssa Cinzia Frascheri, Responsabile nazionale Cisl salute e sicurezza sul lavoro e della Responsabilità Sociale delle Imprese.
Cinzia Frascheri ha partecipato attivamente ai lavori del Comitato 2 (Elaborazione delle procedure standardizzate per la valutazione dei rischi) della Commissione Consultiva e ci descrive non solo il documento, ma anche il clima in cui il documento è stato approvato.
Senza dimenticare qualche anticipazione sui futuri lavori della Commissione.

Parliamo con la D.ssa Cinzia Frascheri, Responsabile nazionale Cisl salute e sicurezza sul lavoro e della Responsabilità Sociale delle Imprese...
In relazione all’approvazione della Commissione consultiva delle procedure standardizzate per la valutazione dei rischi e in assenza di un documento da presentare, diamo alcune indicazioni relative ai contenuti del documento...
Cinzia Frascheri: Sì, in realtà il documento non c’è ancora perché, come giustamente veniva detto, è stato sì approvato in Commissione Consultiva, però deve essere trasformato in decreto interministeriale. È richiesto del tempo per questa trasformazione... Questa è la differenza tra l’approvazione e l’essere messo già a disposizione in maniera pubblica. Questo è il motivo per cui non si ha l’ufficialità del testo, pur avendo l’approvazione a tutti gli effetti.
Intanto bisogna sottolineare che è la prima volta che si arriva a questo risultato, un risultato importante. Questo rimando alle procedure standardizzate era già nel decreto 626/94 e, se ricordiamo questa sorta di deroga all’obbligo dello svolgimento del documento di valutazione dei rischi per le aziende fino a 10 lavoratori in realtà era stata una deroga ponte per un tempo limitato immediatamente dopo il 626. Poi questo tempo si è prolungato in maniera fin troppo ampia e siamo arrivato ad oggi. Questo è già un cambiamento importante: per la prima volta si hanno le procedure standardizzate...
Vediamo qualche caratteristica delle procedure... In fondo dobbiamo anche capire se la logica semplificatoria che c’è dietro la standardizzazione delle procedure non lede la possibilità di fare una buona valutazione dei rischi...
C.F.: Di questo documento si parla già da due anni (...). C’è voluto molto tempo, guardandolo dall’esterno, ma per chi l’ha vissuto dall’interno, con tutti i lavori e le riunioni, questo era un tempo che necessitava. In realtà l’errore iniziale e comunque la non attenzione iniziale era data dal fatto che si pensava e si riteneva che queste procedure standardizzate poi fossero solo una sorta di struttura, di modulo che trasformasse l’autocertificazione in documento di valutazione dei rischi.
In realtà se si va a leggere l’articolo 29, quinto comma, parla proprio di procedure standardizzate per la valutazione dei rischi. Cioè sulla base di queste procedure si deve fare la valutazione e poi di conseguenza il documento. Quindi di per sé attenevano anche al contenuto, non solo a una struttura che potesse essere sostitutiva, anche se più esaustiva, di una certificazione. Andava dunque nel merito della valutazione del rischio.
(...) Era necessario fare qualcosa che prendesse per mano i datori di lavoro che devono svolgere questa valutazione dei rischi per le aziende fino a 10 lavoratori o gli RSPP che devono svolgere questa funzione e gli aiutasse a svolgere una valutazione che fosse adeguata sia come dimensione, sia come specificità di rischio, per queste realtà. Non ci dimentichiamo, sullo sfondo, che la dimensionalità minima di queste aziende non è collegata alla percentuale o comunque all’intensità di rischio. La battuta che si fa con il pennello e l’imbiancatura, cioè “pareti grandi, pennello grande” o viceversa, non è in questo caso valido per le aziende, in quanto di per sé le aziende piccole possono avere veramente rischi alti e quindi occorre una  valutazione dei rischi che sia assolutamente puntuale. Tenuto conto comunque che le aziende che hanno una tipologia di rischi, quelle che sono elencate all’articolo 31 comma 6 (quelle che hanno un elemento di rischio alto tipo le aziende a rischio di incidente rilevante), sono escluse comunque dall’applicazione di queste procedure. Però non ci dimentichiamo che alcuni rischi che sono nelle piccole aziende sono rischi di grande interesse, importanza e rilevanza anche per l’esposizione al rischio di infortunio e malattie professionali.
È bene ricordare che queste procedure standardizzate, come indicato dall’articolo 29 del Decreto 81, non valgono solo per le aziende che impiegano fino a 10 lavoratori, ma anche per le aziende che impiegano fino a 50 lavoratori, con i limiti relativi all’articolo 31...
C.F.: Però c’è una differenza tra il comma 5 e il comma 6, cioè tra il fatto di poterle utilizzare fino a 10 lavoratori e poterle utilizzare fino a 50. Nel caso dei 10 è vincolante utilizzarle, nel caso del comma 6, cioè fino a 50, è una possibilità. Qui c’è una differenza. Il testo nel caso del comma 5 dice “effettuano la valutazione dei rischi sulla base...”, dall’altra parte dice “possono effettuare..,”. Aspetto non secondario...
Veniamo al documento. Il documento come è articolato? È articolato immagino con passaggi, con delle fasi per le aziende...
C.F.: Il documento in realtà si compone di due parti che sono assolutamente collegate e coerenti. Una parte che è proprio modulistica, quindi richiama e traccia quelle che sono le possibili schede e anche la “copertina” che potrà avere questo documento di valutazione dei rischi. Dall’altra parte abbiamo invece una sorta di manuale che aiuta a compilare non solo il documento, ma che ti aiuta quindi a fare la valutazione dei rischi nell’azienda. Quindi abbiamo questa sorta di percorso parallelo, dove abbiamo le spiegazioni, l’aiuto e anche le sottolineature su alcuni passaggi nodali – tipo l’organigramma aziendale, tipo la valutazione dei rischi tenendo conto del rapporto con la mansione svolta, con il tempo di lavoro, con l’organizzazione di lavoro – e dall’altra parte abbiamo proprio una sorta di facsimile di un documento di valutazione dei rischi semplificato per queste realtà lavorative.
Ci sarà nel documento anche una sorta di supporto, che si potrebbe definire una lista di controllo, per l’analisi dei rischi?
C.F.: Sì, noi siamo allergici a chiamarle check-list perché purtroppo abbiamo in questi anni avuto, da parte del mercato, esperienze negative delle check-list. Sorta di elenchi in cui basta apporre una crocetta e questo corrispondeva a l’aver fatto la valutazione.
Se guardiamo invece allo strumento in quanto tale, sì, è un elenco di rischi che dovrebbe essere per il 90% dei casi esaustivo di tutti i rischi che si possono incontrare nell’ambito della realtà lavorativa.
Una cosa che va detta è che abbiamo fatto, anche se in tempo breve, una piccola sperimentazione con alcune realtà, con alcuni RSPP, con alcuni datori, su tutto il territorio nazionale e per diversi settori produttivi. Quindi abbiamo avuto un feedback di adeguatezza e di efficacia dello strumento, anche in relazione al linguaggio semplice, al linguaggio facile e accessibile. Questo già ci ha aiutato... E abbiamo visto infatti che, ad esempio, dovevano essere inseriti alcuni riferimenti un po’ più specifici al mondo dell’agricoltura, perché in questo caso non c’erano elementi specifici...
Termino col dire che comunque al di là della lista dei rischi, c’è uno strumento – a mio parere molto utile – che associa a ogni rischio tutti i richiami normativi e i richiami anche delle norme tecniche di riferimento. Quindi in realtà è veramente è uno strumento e non un fine. Perché dice “per quel rischio vai vedere quel punto normativo, quell’articolo, quella norma tecnica, quell’allegato, ...”, cioè ti aiuta ad approfondire e a studiare.
Oltre a questo è previsto espressamente che uno possa poi, a partire da queste procedure standardizzate, integrare con tutte quelle che sono le banche dati, i registri relativi all’infortunistica, ... Questo apre a tutta una serie di riferimenti di documenti di cui ognuno può avvalersi,... Anche in relazione ai dati dell’Inail/ex Ispesl o anche a livello di ASL regionali.
Veniamo a questo punto al tema dell’evoluzione di questo documento che immagino sia frutto di diversi compromessi. Ci sono state delle discussioni?
C.F.: Diciamo sì, però non c’è stata una discussione forte sul piano delle parti rappresentate, cioè ad esempio le organizzazioni sindacali in contrasto con la parte datoriale o con le Regioni o con altro. C’è sempre stato per tutto il tempo dei lavori una grossa discussione, ma discussione di merito... Anche perché non dobbiamo sottovalutare il fatto che era la prima volta che le procedure si facevano. E quindi non era solo il fatto di approfondire aspetti tecnici del rischio in quanto tale (ormai c’è una letteratura consolidata tecnica), ma di riuscire a capire cosa vuol dire procedura standardizzata, qual è la procedura migliore, quali sono gli elementi che devono essere centrali per queste aziende e quali sullo sfondo. La discussione ha occupato molto tempo nel capire che cosa si volesse fare e quale fosse lo strumento migliore. Torno a dire: una discussione assolutamente con propri contributi di merito e non legati a schieramenti di parti per criteri di appartenenza o di rappresentanza...
Quindi è stato più facile trovare compromessi...
C.F.: È stato più facile trovare terze vie, non li chiamerei compromessi. Nel senso di arrivare a condividere il prodotto che stava uscendo.
Si riesce, secondo lei, a riunire insieme in questo documento facilità ed efficacia?
C.F.: Sì, assolutamente sì. E quindi, senz’altro, sarà uno strumento utile.
Da parte datoriale è stato sollevato più volte il problema del fatto che l’impatto sarà un impatto molto forte, sarà un impatto dirompente per queste aziende l’arrivo di queste procedure.
Il problema, lo sappiamo, sta nel fatto che purtroppo l’autocertificazione aveva preso una piega sbagliata. Come sappiamo in molte situazioni, non dico tutte, l’autocertificazione era poi concretamente il non fare la valutazione dei rischi. Quindi non era solo una forma di non obbligo per il documento, ma spesso era una forma molto blanda e leggera di valutazione dei rischi. E quindi ecco che l’impatto che avranno queste procedure sarà piuttosto rilevante, ma sarà rilevante perché si arriva in molte situazioni dal nulla. Perché se uno ad oggi avesse fatto già la valutazione e avesse la documentazione, il problema sarebbe solo quello di riportare, di ritradurre il tutto in queste procedure. Il problema è che molte aziende si trovano a rispondere ad un obbligo che fino a ieri avevano quasi archiviato o pensavano di non avere. Questo è il vero impatto, è la vera problematicità.
E questa proroga che è stata fatta – e su cui come organizzazione sindacale ci siamo espressi in modo negativo  - ci mette anche in difficoltà nei riguardi dell’Europa. Non ci dimentichiamo che a ottobre scorso noi abbiamo avuto una procedura d’infrazione da parte dell’Europa per il mancato rispetto della direttiva europea 89/391 su otto punti. Al punto quattro era proprio richiamato il fatto che non si rispettavano le regole introdotte dalla direttiva perché lì era previsto che tutte le realtà lavorative devono fare la valutazione dei rischi e in Italia era stata fatta questa deroga che stava durando eccessivamente. Quindi in questo caso il far slittare l’obbligo da giugno a, complessivamente, dicembre – se si legge dice “a tre mesi” dalla pubblicazione delle procedure e “comunque, non oltre il 31 dicembre 2012” – ci mette ancor più in difficoltà nei confronti dell’Europa. Comunque diciamo che per dicembre la cosa si chiuderà.
E per l’elaborazione delle procedure standardizzate questa volta – al di là delle proroghe passate -  la Commissione Consultiva era nei tempi previsti...
C.F.: Sì, se posso fare un’annotazione visto che mi riguarda da vicino, avendo partecipato a non solo questo Comitato, non è solo “questa volta”. Anche nei riguardi dello stress siamo arrivati assolutamente in tempo. In quel caso avevamo tempo fino al 31 dicembre, ma siamo usciti con le indicazioni il 17 novembre.
Ci tengo a dirlo perché da quando è uscito il decreto 81 c’è veramente una stagione nuova per il lavori della Commissione Consultiva. Io penso che tutti ce ne possano dare atto, al di là del “si potrebbe fare meglio” o “si potrebbe fare diversamente”. Si sta lavorando veramente tanto: c’è una produzione di strumenti, di regolamentazioni, di decreti attuativi molto ampia... Questo bisogna sottolinearlo, di solito si vede sempre tutto in negativo... Ad esempio richiamo quanto è stato recentemente fatto e pubblicato come buona prassi nei lavori in ambiente confinato o a rischio di inquinamento.  È un manuale operativo, una procedura operativa molto efficace. E anche questo è stato un lavoro che ha portato via tanto tempo. Non è solo una procedura scritta, ma ci sono anche riferimenti, disegni, ... Un lavoro molto completo.
Manuale che abbiamo già presentato ai nostri lettori. Come ultima domanda diamo qualche notizia dei futuri provvedimenti in uscita dalla Commissione Consultiva...
C.F.: In realtà sono già stati approvati i criteri della figura del formatore, che saranno assolutamente a supporto di quello che poi è l’accordo Stato-Regioni per quanto riguarda il contenuto della formazione. Questi criteri sono stati approvati e adesso devono essere trasformati in decreto interministeriale e poi ci dovrà essere un nuovo passaggio in Conferenza Stato-Regioni, ma pensiamo che entro questo mese ci saranno e sarà emanato il decreto.
E poi ci sono in arrivo, ma con tempi più lunghi, i decreti che riguardano l’articolo 30, quindi i modelli di organizzazione e gestione.

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Fonte:  www.puntosicuro.it

mercoledì 16 maggio 2012

Valutazione dei rischi: ennesimo rinvio per il decreto 81

Rinviati l’obbligo per le microimprese fino a 10 dipendenti di effettuare la valutazione dei rischi secondo le procedure standardizzate e l’applicazione del D.Lgs 81/08 ai settori ferroviario, marittimo e portuale.


È stato pubblicato in Gazzetta ufficiale il DECRETO-LEGGE 12 maggio 2012, n. 57 contenente “Disposizioni urgenti in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro nel settore dei trasporti e delle microimprese.” che contiene il rinvio al 31 dicembre 2012 dell’obbligo per le microimprese di effettuare la valutazione dei rischi secondo le procedure standardizzate.

Il rinvio si è reso necessario in quanto le procedure standardizzate, il cui utilizzo per le aziende che occupano fino a 10 lavoratori è previsto dal comma 5 dell’articolo 29 del D.lgs. 81/08, non sono ancora state definite dalla Commissione consultiva permanente per la salute e sicurezza sul lavoro istituita presso il Ministero del Lavoro. In assenza di queste procedure, il D.lgs. 81/08 prevede che i datori di lavoro di queste microimprese possano autocertificare l’effettuazione della valutazione dei rischi, ma solo fino al termine massimo del 30 giugno 2012. A decorrere dal 1° luglio 2012 sarebbero quindi stati obbligati ad elaborare il documento di valutazione dei rischi secondo le procedure ordinarie. L’avvicinarsi di questa scadenza e la contemporanea mancanza delle procedure hanno quindi portato alla proroga prevista dal nuovo decreto legge.
 
Sottolineiamo come il termine previsto inizialmente dal D.Lgs. 81/08 per l’elaborazione delle procedure standardizzate e del loro recepimento tramite un decreto interministeriale fosse il 31 dicembre 2010!
 
Il decreto legge prevede inoltre un ulteriore rinvio per l’applicazione del Decreto 81 ad alcuni ambiti lavorativi indicati nell’articolo 3 comma 2 (settori ferroviario, marittimo e portuale).
 
Infatti, senza una ulteriore proroga del termine del 15 maggio 2012 (48 mesi dall’entrata in vigore del D.Lgs. 81/08) previsto dal comma 2 dell’articolo 3 del D.Lgs. 81/08, si sarebbe venuto a creare un vuoto normativo dovuto all'abrogazione della normativa speciale in materia di sicurezza del lavoro nell'ambito dei settori ferroviario, marittimo e portuale.
 
Il nuovo decreto legge, eliminando la frase “decorso inutilmente tale termine, trovano applicazione le disposizioni di cui al presente decreto” sposta quindi l’applicazione del Decreto 81 a questi settori al futuro recepimento dei decreti attuativi (il cui termine di emanazione, come appena evidenziato, scadeva anch’esso ieri, 15 maggio…).
 
Un’eccezione a questo panorama di proroghe è invece rappresentato dall’ambito degli uffici all’estero [1] di cui all’articolo 30 del decreto del Presidente della Repubblica 5 gennaio 1967, n. 18, per i quali il decreto attuativo è uscito proprio in questi giorni e che PuntoSicuro approfondirà con un articolo nei prossimi giorni: 
 
 
 
Federica Gozzini
 
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venerdì 27 aprile 2012

28 aprile: giornata mondiale per la sicurezza e la salute sul lavoro

Posti di lavoro “verdi”: promuovere la sicurezza e la salute nella “green economy”.
 I posti di lavoro “verdi” coprono ambiti di attività quali il lavoro in siti di produzione energetica senza carbonio, la produzione e l’installazione di pannelli solari, il riciclaggio dei rifiuti o, ancora, il lavoro in siti contaminati. I lavoratori possono essere esposti a una serie di rischi di vario genere: da quelli di tipo tradizionale come il rischio di caduta, ad esempio, durante l’installazione di turbine eoliche, fino a rischi ancora pressoché sconosciuti, quali l’esposizione a materiali nuovi, solo di recente introdotti nell’ambiente di lavoro. I rischi possono essere fisici, biologici, chimici e psicosociali e, poiché alcuni ambiti di lavoro sono nuovi, non tutte le aziende potrebbero disporre di sistemi adeguati di gestione della salute e della sicurezza.

L’Agenzia europea per la sicurezza e la salute sul lavoro ha avviato un progetto pluriennale sui posti di lavoro verdi. L’anticipazione dei rischi costituisce un importante compito dell’Agenzia ed essa, in consultazione con le parti interessate nel dialogo tripartito, sta elaborando una serie di possibili scenari per analizzare in che modo si svilupperà il lavoro nell’ambito dei posti di lavoro verdi e quali sfide ne deriveranno dal punto di vista della sicurezza e della salute sul lavoro (si vedano le relazioni di valutazione intermedia Foresight of New and Emerging Risks to OSH Associated with New Technologies in Green Jobs by 2020 - Phase I: Key drivers of change, Phase II: Key technologies). Verrà evidenziato il modo in cui le tecnologie di prevenzione possono essere applicate ai processi decisionali e di formulazione delle politiche nell’ambito della sicurezza e della salute sul lavoro. Parallelamente saranno avviate attività di follow-up per analizzare più approfonditamente i posti di lavoro, i settori e i gruppi di lavoratori “verdi” considerati ad alto rischio e/o le tecnologie di particolare rilevanza nei suddetti scenari.
 
L’Organizzazione internazionale del lavoro (OIL) celebra la Giornata mondiale per la sicurezza e la salute sul lavoro il 28 aprile per promuovere la prevenzione degli infortuni sul lavoro e delle malattie professionali a livello globale. Si tratta di una campagna di sensibilizzazione che mira a focalizzare l’attenzione dell’opinione pubblica internazionale sulle tendenze emergenti nel settore della sicurezza e della salute del lavoro e sull’entità delle lesioni, malattie e infortuni mortali in tutto il mondo. La celebrazione della Giornata mondiale della sicurezza e della salute sul lavoro costituisce parte integrante della Strategia globale sulla sicurezza e la salute sul lavoro dell’OIL e promuove la creazione di una cultura globale di prevenzione nell’ambito della sicurezza e della salute con la partecipazione di tutte le parti interessate.
 
 
 
Leggi il rapporto dell'ILO  Promuovere la sicurezza e la salute in una economia verde che mette in evidenza la SSL come parte integrante della promozione di posti di lavoro verdi e un'economia più verde per ottenere uno sviluppo economico e sociale che è anche ambientalmente sostenibile.
 
Fonte: Eu-osha.


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lunedì 23 aprile 2012

Sulla formazione dei lavoratori nel caso di una pluralità di mansioni

L’obbligo da parte del datore di lavoro di assicurare al lavoratore una formazione adeguata in materia di sicurezza sul lavoro va riferito a tutte le singole mansioni che lo stesso è chiamato a svolgere e a tutti i rischi che può correre. Di G.Porreca.


Il contenuto di questa sentenza della Corte di Cassazione penale si riferisce ad uno degli obblighi più importanti che il legislatore ha voluto porre a carico del datore di lavoro a tutela dei lavoratori dipendenti ed è quello della formazione del lavoratore stesso che, secondo l’art. 37 del D. Lgs. 9/4/2008 e s.m.i. contenente il Testo Unico in materia di salute e di sicurezza sul lavoro, deve essere sufficiente ed idonea con particolare riferimento ai rischi riferiti alle mansioni e ai possibili danni e alle conseguenti misure e procedure di prevenzione caratteristici del settore o del comparto di appartenenza dell’azienda. Il caso particolare preso in esame in questa sentenza riguarda la formazione di un lavoratore allorquando allo stesso vengono affidate più mansioni da svolgere durante la sua attività lavorativa. L’obbligo da parte del datore di lavoro di assicurare al lavoratore una formazione sufficiente e adeguata in materia di salute e sicurezza sul lavoro, secondo la suprema Corte, va riferito a tutte le singole mansioni che lo stesso è chiamato a svolgere in maniera tale da renderlo edotto su tutti i rischi inerenti ai lavori ai quali è addetto. 

Il fatto, il ricorso in Cassazione e le sue motivazioni
Il Tribunale ha assolto l’amministratore di una s.r.l. in qualità di datore di lavoro ed un preposto della stessa società dal delitto di omicidio colposo in danno di un operaio perché il fatto non sussiste. Agli imputati veniva addebitato che, per negligenza, imprudenza ed imperizia e violazione di specifiche norme di prevenzione infortuni (mancata informazione e formazione del lavoratore sui rischi, omessa previsione del rischio nel documento di valutazione, mancanza di adeguata manutenzione dell'autocarro, assenza di un fermo automatico del cassone in caso di accesso agli organi in movimento; ecc), avevano cagionato la morte di un dipendente il quale, per rimuovere del fango dall'albero motore di un autocarro aziendale che stava utilizzando unitamente ad un altro lavoratore, nel mentre era tra la scocca del camion ed il cassone ribaltabile, a causa dell'abbassamento repentino di quest'ultimo, veniva travolto dallo stesso subendo gravi lesioni al capo che portavano al suo immediato decesso.
La Corte di Appello ha confermata la pronuncia di assoluzione del Tribunale e nel fare ciò ha formulato alcune osservazioni.  La stessa, infatti, ha posto in evidenza che il giorno dei fatti il lavoratore infortunato, assieme ad un altro lavoratore della stessa azienda, doveva trasportare del terreno di scavo per cui si era allontanato dal capannone per scaricare la terra allorquando il camion si era fermato per un guasto all'albero motore che perdeva olio. A tal punto uno dei lavoratori si era allontanato per andare a prendere un secchio ove raccogliere l'olio mentre l’altro di sua iniziativa aveva cercato di riparare il guasto, rimanendo schiacciato sotto il cassone improvvisamente abbassatosi.
Del fatto, secondo la Corte di merito, non doveva rispondere il lavoratore che si era accompagnato all’infortunato in quanto non aveva la qualifica di "preposto" e la sua autorevolezza gli derivava solo da essere uno dei dipendenti più anziani. Lo stesso inoltre svolgeva la sua attività su un piano paritario con la vittima, la quale aveva preso l'iniziativa dell'intervento di manutenzione senza alcun ordine o consenso, e, non essendo presente al momento dell’accaduto,  non aveva pertanto potuto dissentire. Secondo la Corte di Appello non doveva rispondere neanche il datore di lavoro considerato che l'iniziativa dell’infortunato era stata improvvisa ed imprevedibile, essendo l'azienda dotata di due persone specificamente addette alla manutenzione dei mezzi e considerato ancora che il lavoratore aveva  svolta un'attività al di fuori delle mansioni attribuite allo stesso.
La Corte distrettuale ha, pertanto, confermata l'assoluzione valutando anomala ed abnorme la condotta della vittima la quale aveva agito di sua iniziativa, al di fuori di ordini o prassi aziendali, pur potendo far ricorso, per sopperire all'inconveniente, a personale specializzato presente in azienda.

Avverso la sentenza ha proposto ricorso alla Corte di Cassazione il difensore delle parti civili il quale ha lamentato prioritariamente che la Corte di Appello, dopo avere stabilito che la vittima era un "tuttofare" sia presso l'abitazione del datore di lavoro che presso l'azienda, aveva valutato privo di significato che il lavoratore infortunato non avesse ricevuto informazioni e formazione in ordine all'attività da svolgere, considerato che più volte aveva anche svolto lavori di manutenzione meccanica, richiedendo in officina la fornitura di pezzi di ricambio. Dal ricorrente è stato inoltre messo in evidenza il difetto di motivazione della sentenza laddove quella della vittima era stata ritenuta una iniziativa anomala ed imprevedibile e quindi causa sopravvenuta, da sola idonea a determinare l'evento, a fronte del fatto che egli era stato effettivamente utilizzato in azienda, senza avere una specifica mansione e, quindi conseguentemente, senza un'adeguata formazione ed informazione sui rischi, per cui era prevedibile che si adattasse a fare qualsiasi lavoro ritenesse rientrare nelle sue non definite mansioni.
Le decisioni della Corte di Cassazione
Il ricorso è stato ritenuto fondato limitatamente all'affermata esclusione di responsabilità del lavoratore che accompagnava l’infortunato. La suprema Corte, nel premettere che l'incidente si era verificato in quanto il lavoratore infortunato, allo scopo di rimuovere del fango che non consentiva all'albero motore di funzionare regolarmente, si era messo all'interno del perimetro del telaio dell'autocarro a cassone alzato e che smontando il raccordo del tubo idraulico, aveva determinato la caduta immediata del cassone che l'ha travolto determinandone il decesso, ha messo in evidenza che, al momento del fatto, l’infortunato stava espletando delle mansioni non corrispondenti alla qualifica di assunzione che era quella di "impiegato tecnico di cantiere".
Vero è che dal punto di vista del diritto civile, ha proseguito la Sez. IV, il datore di lavoro può esercitare unilateralmente lo "ius variandi" delle mansioni del dipendente, sebbene nei limiti consentiti dall'articolo 2103 cod. civ., ma è anche vero che, dal punto di vista del rispetto delle esigenze di prevenzione infortuni, al cambio delle mansioni deve seguire un'adeguata formazione del lavoratore ed informazione sui rischi della sua attività. Con consolidata giurisprudenza la Corte di Cassazione ha più volte affermato, infatti, che “in tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, il datore di lavoro ha l'obbligo di assicurare ai lavoratori una formazione sufficiente ed adeguata in materia di sicurezza e salute, con particolare riferimento al proprio posto di lavoro ed alle proprie mansioni, in maniera tale da renderlo edotto sui rischi inerenti ai lavori a cui è addetto”. Inoltre, poiché il datore di lavoro è tenuto a rendere edotti i lavoratori dei rischi specifici cui sono esposti, ne consegue, ha proseguito la Sez, IV, che è ascrivibile al datore di lavoro, in caso di violazione di tale obbligo, la responsabilità del delitto di lesioni colpose allorché abbia destinato il lavoratore, poi infortunatosi, all'improvviso ed occasionalmente, a mansioni diverse da quelle cui questi abitualmente attendeva senza fornirgli, contestualmente, una informazione dettagliata e completa non solo sulle mansioni da svolgere, ma anche sui rischi connessi a dette mansioni (Cass. Sez. 4, Sentenza n. 41707 del 23/09/2004 Ud. (dep. 26/10/2004), Rv. 2302579).

Nel caso di specie, la violazione di tali regole di prevenzione e sicurezza, secondo la suprema Corte, si è palesata evidente se solo si ponga mente alla attività svolta dal lavoratore che, qualificato appunto "impiegato tecnico di cantiere", è stato invece in realtà adibito alle più svariate mansioni, anche manuali, non solo nell'ambito aziendale, ma anche come "tuttofare" rispetto alle esigenze personali del datore di lavoro. Pertanto la peculiarità nell’accaduto non è stata tanto individuata nel fatto che il lavoratore abbia svolto mansioni diverse da quelle di regola effettuate, bensì nel fatto che allo stesso siano state attribuite mansioni "indefinite", con conseguente deficit di formazione ed informazione.
Ne consegue che”, ha sostenuto ancora la suprema Corte, “una volta che il lavoratore sia addetto a svolgere funzioni per le quali non ha ricevuto adeguata formazione; soprattutto, come nel caso che ci occupa, quando la ‘fluidità’ di tali mansioni non consente di definire in modo preciso il suo profilo professionale; quando questi ponga in essere comportamenti imprudenti (smontaggio di un circuito idraulico a cassano alzato), non può dirsi che gli eventi letali che ne conseguono sono il frutto di condotte anomale ed imprevedibili, in quanto la imperizia del comportamento è direttamente ricollegabile alla sua mancata formazione ed informazione”.
La Corte di Cassazione non ha pertanto condivisa la pronuncia del giudice di merito che, nell'escludere la responsabilità del datore di lavoro, ha ricondotto l'evento mortale alla negligenza della stessa vittima che con il suo comportamento avrebbe posto in essere una condotta idonea da sola a determinare l'evento. Il giudice di merito, invece, secondo la Sez. IV, alla luce dei principi sopra indicati avrebbe dovuto valutare se, in ragione delle concrete modalità di svolgimento del lavoro, poteva riconoscersi una responsabilità in capo al datore di lavoro avendo questi tollerato che il lavoratore non fosse investito di specifiche mansioni e avendo omesso di fornirgli, personalmente o a mezzo della struttura aziendale, una adeguata formazione ed informazione nonché avendo consentito che il lavoratore, titolare di mansioni "indefinite", si cimentasse nelle più svariate attività di lavoro manuale, senza che avesse in relazione ad esse una specifica formazione professionale.
Per quanto sopra detto, quindi, la suprema Corte di Cassazione ha annullata la sentenza agli effetti civili, limitatamente alla posizione del datore di lavoro con rinvio al giudice competente per valore in grado di appello. Circa infine la posizione del preposto, la Sez. IV ha rigettato il ricorso proposto nei suoi confronti ed ha confermata la sua assoluzione in quanto la stessa è stata determinata dal fatto che non è risultata provata la sua qualifica di preposto e quindi di sovraordinazione gerarchica rispetto alla vittima.

mercoledì 18 aprile 2012

Sicurezza sul lavoro: 9 milioni di Euro per Formazione

I Voucher - Dote Impresa – da utilizzare per la partecipazione a percorsi formativi sicurezza nei luoghi di lavoro nelle piccole e medie imprese lombarde. Le domande a partire dal 18 aprile.


Obiettivo dell’intervento è sostenere il miglioramento e l’innalzamento del livello delle conoscenze e competenze in materia di sicurezza nei luoghi di lavoro.
L’iniziativa prevede l’attivazione di specifici percorsi formativi rivolti al personale competente delle micro e piccole imprese lombarde.

Destinatari:
soggetti ai quali è stata attribuita o si attribuisce una funzione in materia di sicurezze e salute sui luoghi di lavoro, occupati nelle sedi operative di micro e piccole imprese (0-49 dipendenti) ubicate in Lombardia.
Sono escluse:
  • le imprese che fanno riferimento a settori esclusi dal Regolamento (CE) n. 1998/2006 relativo all’applicazione degli articoli 87 e 88 del trattato agli aiuti d’importanza minore («de minimis»);
  • le imprese che sono state sospese ai sensi dell’art. 14 del D.Lgs. 81/2008, per l’intera durata del provvedimento sospensivo.
Soggetti coinvolti. La normativa vigente in materia di formazione alla sicurezza nei luoghi di lavoro, individua tre tipologie di soggetti deputati alla realizzazione dei corsi di formazione:
  • Soggetti legittimati (direttamente dalla legge): Regioni e Province autonome; Università; INAIL; Istituto italiano di medicina sociale; Dipartimento dei vigili del fuoco, del soccorso pubblico e della difesa civile; Amministrazione della Difesa; Scuola superiore della pubblica amministrazione; altre Scuole superiori delle singole amministrazioni; Associazioni sindacali dei datori di lavoro o dei lavoratori; Organismi paritetici.
  • Soggetti assimilati (equiparati ai soggetti legittimati): Ministero del lavoro e delle politiche sociali; Ministero della salute; Ministero delle attività produttive; Ministero dell’interno: Dipartimento degli affari territoriali e Dipartimento di pubblica sicurezza; Formez; Istituti tecnici industriali, aeronautici, nautici; Ordini e collegi professionali, limitatamente ai propri iscritti.
  • Soggetti accreditati alla formazione, che operano in ambito regionale, in possesso di esperienza almeno biennale in ambito di prevenzione e sicurezza sul lavoro e presenza di docenti aventi esperienza almeno biennale in materia di prevenzione e sicurezza sul lavoro. 

Caratteristiche della dote.
La dote si configura come un voucher che potrà essere utilizzato esclusivamente per la partecipazione ai percorsi formativi ammissibili (vedi Allegato A).Il voucher è riconosciuto alla singola impresa e non al singolo destinatario ed ha un valore massimo di:
  • € 5.000 per le micro e piccole imprese.
 L’IVA detraibile da parte dell’impresa non può essere rimborsata e non può rappresentare un costo ammissibile; il contributo è erogato in regime de minimis, ex Regolamento (CE) n. 1998/06.

Presentazione della domanda.
La domanda di dote può essere presentata, a partire dalle ore 12 del 18 aprile 2012 fino ad esaurimento delle risorse e fino ad esaurimento delle risorse disponibili, mediante il sistema informativo Gefo  dall’imprenditore che:
  • dichiara il possesso dei requisiti previsti;
  • indica il valore della dote richiesta e la tipologia di corso cui è interessato;
  • effettua la propria dichiarazione sugli aiuti di stato;
  • dichiara di aver apposto marca da bollo di euro 14,62 su copia della domanda conservata agli atti.
A seguito della ricezione della comunicazione di accettazione della dote, l’imprenditore si attiva ad individuare si per individuare i destinatari dei percorsi formativi (che dovranno concludersi entro il 31 ottobre 2012).
Liquidazione e pagamento della dote.
Ai fini del rimborso l’imprenditore deve presentare a Regione entro 60 giorni dalla chiusura delle attività e comunque entro il 31 dicembre 2012, mediante il sistema informativo Gefo:
domanda di liquidazione per l’importo della dote aziendale assegnata;
fatture quietanzate emesse dall’organismo di formazione e intestate all’azienda/istituto per i corsi fruiti;
copia di estratto conto o bonifico a prova dell’avvenuto pagamento (che potrà avvenire solo tramite bonifico);
attestati di partecipazione, rilasciati dall’ASL o dall’Ente formatore, che certifichino la frequenza, riportanti i dati identificativi del partecipante, il titolo del corso con la relativa durata, l’organismo di formazione, la sede e il periodo di svolgimento;
nel caso in cui l’organismo di formazione non sia un operatore accreditato ai servizi formativi, un’università oppure un consorzio universitario, dichiarazione certificante il possesso dei requisiti previsti.

Informazioni.
Per qualsiasi chiarimento o informazione sull’Avviso è possibile rivolgersi ai funzionari:
  • dell’U.O. Lavoro della DG Occupazione e Politiche del Lavoro, Pietro Di Lazzaro
  • dell’U.O Governo della Prevenzione e Tutela Sanitaria della D.G. Sanità, Agostina Panzeri;
che risponderanno esclusivamente al seguente indirizzo e-mail:
Call Center 

lunedì 16 aprile 2012

Come rendere ergonomica la postazione di lavoro al videoterminale

Una lista di controllo propone raccomandazioni nell’acquisto di arredi e accessori vari per rendere la postazione di lavoro al videoterminale a misura d’uomo. La scrivania, la sedia, lo schermo, gli strumenti di lavoro e gli accessori.


L’ergonomia è una scienza che può favorire una reale tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori. È in grado di affrontare le interazioni tra gli esseri umani e gli altri componenti di un sistema - altre persone, macchine, prodotti, servizi, ambienti e strumenti – ottimizzando il benessere psicofisico delle persone e le prestazioni complessive del sistema.
Ad esempio molto utile è lo studio e la progettazione ergonomica in relazione all’attività con videoterminali, anche in relazione all’aumento della frequenza di malesseri accusati dai videoterminalisti; malesseri come mal di testa, bruciore agli occhi, nervosismo e dolori in corrispondenza di spalle, braccia e mani.
Un documento che affronta il tema dell’ergonomia applicata ai videoterminali è una lista di controllo prodotta da Suva, istituto svizzero per l'assicurazione e la prevenzione degli infortuni.
Nel documento, dal titolo “ Lista di controllo: acquisto di arredi e accessori per il lavoro al videoterminale”, si sottolinea che l’ergonomia “inizia già al momento dell’acquisto”!
E la lista di controllo propone una serie di raccomandazioni nell’acquistare arredi e accessori vari che, se rispettate, rendono la postazione di lavoro al videoterminale il più possibile ergonomica, ossia a misura d’uomo. 
Senza dimenticare che i problemi principali che si riscontrano tra i videoterminalisti sono dovuti a:
- “piano di lavoro troppo alto e che non si può adattare alla statura di chi vi lavora;
- sedie che non si possono regolare in altezza o con piano di seduta troppo lungo o corto;
- schermi che non si possono abbassare a sufficienza o con superficie riflettente”.
Cominciamo ad occuparci della scrivania.
Questi alcuni suggerimenti tratti dalle domande di verifica contenute nella lista:
- il piano di lavoro deve essere “profondo 80 cm e largo 120 cm come minimo”: infatti “deve avere una profondità sufficiente per la tastiera, lo schermo e i documenti;
- “se si tratta di una scrivania per lavorare solo da seduti”: il piano di lavoro deve potersi regolare in altezza “da un minimo di 68 cm a un massimo di 82 cm”;
- chi utilizza la scrivania deve poterne regolare l’altezza senza difficoltà e “per regolare l’altezza non si devono usare attrezzi speciali”;
- “se si acquistano scrivanie per lavorare esclusivamente da seduti: sono disponibili altri mobili che permettono di lavorare in piedi”?
- una scrivania per lavorare da seduti /in piedi deve potersi regolare “in altezza tra i 68 cm e i 125 cm”: un piano di lavoro così regolabile “è adatto sia alle persone di bassa statura che lavorano sedute sia a quelle di alta statura che lavorano in piedi”;
- il piano di lavoro deve essere stabile “anche quando è regolato nella posizione massima in altezza”: “non deve vibrare quando si scrive o ci si appoggia”;
- se alla scrivania lavorano persone di statura alta, sotto il piano di lavoro deve esserci spazio sufficiente per gambe, ginocchia e piedi: “la distanza tra il bordo anteriore del piano di lavoro e le barre trasversali o canaline per i cavi non deve essere inferiore a 50 cm”;
- la superficie del piano di lavoro deve essere “opaca e di colore neutrale” e il bordo della scrivania smussato”.
Senza dimenticare che è importante che i cavi dei vari strumenti di lavoro si sistemino senza difficoltà negli appositi alloggiamenti. 

Altri suggerimenti riguardo alla sedia:
- è bene che sui pavimenti duri (parquet, linoleum, cemento, …) si usino sedie con rotelle morbide e per quelli morbidi (moquette, …) sedie con rotelle dure. Le rotelle devono potersi sostituire;
- la sedia deve essere dotata di uno schienale o di un supporto lombare regolabile in altezza;
- è consigliabile rinunciare – “eccettuato in casi particolari” -  a utilizzare sedie con braccioli: “se la sedia è dotata di braccioli questi devono essere regolabili in altezza, altrimenti inducono ad assumere una posizione scorretta o impediscono di avvicinarsi al piano di lavoro”. La lista sottolinea che i braccioli “facilitano il sedersi o l’alzarsi a chi è sovrappeso o ha problemi alle ginocchia, ma non sono necessari dal punto di vista ergonomico”.
Vediamo ora alcune indicazioni per le sedie con riferimento all’altezza dei lavoratori:
- le persone di alta statura devono avere a disposizione sedie che si possono regolare ad un’altezza superiore a quelle standard. Se “per la maggior parte delle persone la sedia deve essere regolabile da 40 cm a 52 cm”, “per una persona di statura elevata (oltre i 185 cm) si deve poter regolare l’altezza da 46 cm a 62 cm”;
- le persone di bassa statura devono avere a disposizione “sedie con piano di seduta abbastanza corto, cioè che può essere regolato a una lunghezza di circa 40 cm”. Il bordo anteriore della seduta “non deve premere contro l’incavo del ginocchio. Tra seduta e incavo del ginocchio vi deve essere spazio per due dita traverse”.
In merito agli strumenti di lavoro e alle relative impostazioni, i primi suggerimenti riguardano lo schermo.
Se lo schermo ha una dimensione superiore a 19 pollici deve essere possibile “abbassarlo in modo che la distanza tra il suo bordo inferiore e il piano di lavoro non superi i 5 cm”.
Se infatti lo schermo “è troppo alto o regolato in una posizione troppo elevata può provocare dolori alla nuca e disturbi agli occhi”.
In particolare “il bordo superiore dello schermo deve trovarsi 5–10 cm al di sotto dell’altezza degli occhi”.
Inoltre lo schermo deve avere una superficie antiriflessi: “le superfici riflettenti possono abbagliare oppure riflettere uno sfondo chiaro e quindi alterare la capacità visiva”. In particolare il documento indica che “gli schermi in cui ci si può specchiare non sono adatti per la videoscrittura”.
Altri suggerimenti riguardo agli strumenti di lavoro:
- quando si lavora con un portatile si devono avere “una tastiera, un mouse e uno schermo aggiuntivi”. Se ad esempio “si lavora più di 1 ora al giorno con il portatile, occorre usare la tastiera e il mouse esterni; a partire da 2 ore al giorno è necessario anche uno schermo aggiuntivo”;
- deve essere possibile “regolare la velocità del mouse in modo che per portare il puntatore dal bordo sinistro a quello destro dello schermo, il mouse deve spostarsi non più di 5 cm”.

Infine alcune indicazioni riguardo agli accessori.
Ad esempio il poggiapiedi: “le persone di piccola statura devono avere a disposizione un poggiapiedi se lavorano a una scrivania che non si può abbassare in modo sufficiente. Il poggiapiedi fornisce l’appoggio necessario se non si arriva a tenere i piedi a terra. Deve avere una dimensione minima di 45 x 35 cm e si deve poter regolare in altezza e inclinazione”.
Altro accessorio utile è il portadocumenti su cui appoggiare i fogli di carta.  
Tale portadocumenti “va posizionato tra schermo e tastiera” e si deve “poter inclinare in direzione dell’ utilizzatore. Per non coprire il bordo inferiore dello schermo, non deve essere sollevato a più di 6–8 cm”.
Concludiamo con il suggerimento – presente nella lista - di disporre di cuffie telefoniche “se occorre telefonare spesso mentre si usa la tastiera e il mouse”.
N.B.: I riferimenti legislativi contenuti nei documenti di Suva riguardano la realtà svizzera, i suggerimenti indicati possono essere comunque di utilità per tutti i lavoratori.
Tiziano Menduto

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martedì 10 aprile 2012

Incentivi INAIL alle imprese, presentati 25mila progetti per la sicurezza sul lavoro

28 marzo 2012. Conclusa la prima fase di inserimento online delle iniziative aziendali in materia di prevenzione degli infortuni per le quali l'Istituto ha messo a disposizione 205 milioni di euro a fondo perduto. Il calendario per l'invio telematico delle domande sarà pubblicato il 16 aprile.


Le imprese vogliono investire sulla sicurezza dei lavoratori. Questo il dato che emerge a conclusione della prima fase dell'operazione incentivi INAIL, partita lo scorso 28 dicembre. Ha superato quota 25mila, infatti, il numero delle aziende che hanno inserito, attraverso la procedura online sul portale dell'Istituto, i propri progetti per interventi in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro, come l'acquisto di macchinari e attrezzature, e per l'adozione di modelli organizzativi e gestionali orientati alla sicurezza.
Un miliardo di euro il valore complessivo degli interventi proposti. Nonostante la congiuntura economica negativa, le imprese che hanno aderito al bando INAIL hanno dimostrato la disponibilità a investire complessivamente circa un miliardo di euro per migliorare la sicurezza degli ambienti di lavoro. Per sostenere e incentivare questi progetti, l'Istituto ha messo a disposizione 205 milioni di euro a fondo perduto, ripartiti in budget regionali che tengono conto del numero degli addetti e della gravità degli infortuni sul territorio. Si tratta della seconda tranche dopo i 60 milioni di euro stanziati nel 2010, che nel corso del 2011 hanno finanziato 1.086 interventi, il 98% dei quali relativi a progetti di prevenzione realizzati da parte di piccole e medie imprese.
Priorità cronologica per l'attribuzione delle risorse disponibili. Da un'analisi preliminare dei progetti inseriti online entro la scadenza dello scorso 7 marzo, le richieste di incentivo, destinato a coprire il 50% dei costi, risultano essere cinque volte superiori alle risorse messe a disposizione dall'INAIL (lo scorso anno, per 60 milioni di euro disponibili, erano pervenute richieste di contributo per circa 800 milioni). Come già avvenuto nella precedente edizione, il criterio previsto dal bando per l'attribuzione del finanziamento è quello della priorità cronologica dell'arrivo delle domande nei giorni fissati, i cosiddetti "click day". L'Istituto ha confermato la scelta dell'ordine cronologico perché consente di velocizzare le procedure di selezione e di rendere più rapida la realizzazione degli interventi e l'erogazione dei finanziamenti. Quest'anno però, per finalizzare la presentazione della domanda, il giorno dell'invio sarà sufficiente inserire il codice identificativo già assegnato a ogni progetto al termine della prima fase.
La procedura adottata garanzia di velocità e obiettività. Per accedere alla fase conclusiva dell'invio telematico, tutti i progetti inseriti hanno superato una valutazione sulla base di una griglia di parametri predeterminati che premiano caratteristiche come la dimensione aziendale, le percentuali di lavoratori beneficiari, l'efficacia dell'intervento, il settore produttivo più rilevante a livello regionale, la maggiore gravità della causa di infortunio (o fattore di rischio per le malattie professionali) che mirano a eliminare o a prevenire. Questa valutazione è stata effettuata in maniera automatica dal sistema informatico in base a quanto dichiarato dalle imprese e successivamente sarà oggetto di verifica da parte dell'INAIL. Una procedura di questo tipo, oltre ad assicurare una maggiore velocità, garantisce anche l'obiettività della valutazione.
Il 16 aprile le date per i "click day" sul portale dell'Istituto. Una volta ultimate le procedure amministrative per la validazione del database che gestisce i progetti inseriti dalle imprese, a garanzia del corretto svolgimento dei "click day" saranno effettuate le prove di carico della piattaforma telematica, tenendo conto dei diversi carichi regionali. Valutando i diversi andamenti e il risultato dei test, sarà quindi possibile fissare il calendario per l'invio telematico delle domande, che sarà comunicato sul portale dell'Istituto il 16 aprile. Le aziende che non avranno la possibilità di accedere ai finanziamenti previsti dal bando incentivi 2012 potranno presentare nuovamente il progetto nell'edizione successiva. Nell'ambito dei compiti attribuiti all'INAIL dal nuovo Testo unico sulla sicurezza - il decreto legislativo 81/2008 modificato dal decreto legislativo 106/2009 - per il quadriennio 2011-2014 l'INAIL prevede infatti di stanziare complessivamente circa 850 milioni di euro per sostenere progetti di investimento e formazione in materia di salute e sicurezza sul lavoro nelle micro, piccole e medie imprese.
Per saperne di più: